05 febbraio 2011

Verrà l'ascensore ed avrà i tuoi occhi

Il miliziano del secondo posto di guardia ronfava alla grande, seduto come Buddha su una sediolina di sterpaglie, le mani incrociate sulla pancia satura di alcol, e così mi salvai dal dover tirar fuori per l'ennesima volta il propusk di controllo. Il propusk è una sorta di tesserino di riconoscimento: per evitare che le camere del dormitorio si trasformino in una versione con la I gutturale di un bordello di Laclos, i sapienti russi hanno pensato bene di disporre non uno, ma ben due posti di guardia. Tuttavia, questi posti di guardia sono perlopiù occupati da simpatici alcolisti i quali, profondamente rispettosi di ogni forma di amore giovanile, chiudono volentieri un occhio quando uno studente, magari sventolando qualche rublo sotto il loro naso rubizzo, vuole mostrare alla rispettiva Giulietta la sua collezione di farfalle.

Di fronte all'ascensore c'era già qualcuno in attesa: la prima cosa che notai furono le raffinate scarpe nere con notevole tacco. I casi erano due: era una donna con un buon gusto per le scarpe, e quindi molto probabilmente era una donna molto bella di suo, ma era strano, una donna sola a quell'ora del mattino... oppure, più probabilmente, considerando la mia solita fortuna nell'attirare tutti i casi umani di questo pianeta, era qualche travestito di Copacabana reduce da una nottata con Vagner Love.
Decisi stoicamente di rischiare.
Mi misi di fianco, gettandole un'occhiata di straforo in attesa che l'ascensore scendesse dagli infiniti piani del MGU: sì, era senza dubbio una donna, ed era una donna così bella che devo essere diventato al volo bianco come un fantasma. Teneva le manine incrociate dietro la schiena ed il capo leggermente inclinato a sinistra: un mare di capelli neri come china le sfioravano leggeri le spalle. Ricordo che pensai: sanno di nicotina e di lavanda. Ora non so che profumo abbia la lavanda, e dubito lo sapessi neppure allora. Non si era mossa di un millimetro da quando mi ero avvicinato: aveva una di quelle frangette dannate che donano alle donne un gradevole tocco da principesse egizie.I suoi occhi, nonostante l'ora tarda, erano altezzosi ed ardenti, e tutta la sua figura manifestava una fragile alterità che mi ubriacò in un istante.
Entrammo nell'ascensore. L'avevo vista da qualche manciata di secondi, ma ero già a buonissimo punto del romanzo trans-mentale che stavo stendendo nella mia testa: ascensore, leit-motiv di tradizione genealogica cardinettesca, tu dove vai, ah sì, il quarto, si sfiorano le mani, si incrociano gli sguardi, bacio alla Luchino Visconti, stacco scenico e panoramica in slow-motion, musica strappamutande in sottofondo, la sua schiena lievemente inarcata, i suoi capelli neri che ondeggiano, ascensore al secondo piano, c'è un prete ortodosso, un muezzin, uno sciamano africano e Lucio Dalla, ci benedicono, ci sposano e ci divorziano e ci benedicono di nuovo, ora si può baciare la sposa, voli di confetti, ci amiamo tanto, ci annoiamo, ci riamiamo di nuovo, e tutto questo nell'arco di cinque piani di ascensore ed in pochi centimetri quadrati, e quando arriviamo al sesto io premo di nuovo giù e scendiamo al primo, e la prendo in braccio e pesa come una nuvola bianca, ed emigriamo su un'isola siberiana, dove campiamo di frutta che incredibilmente matura a quelle latitudini e dove impariamo il linguaggio dei pinguini, delle foche e degli orsi marini, e dove lei mi uccide, perché sono  davvero insopportabile, e dove io la uccido, perché ha un terribile caratteraccio, ma poi risorgiamo sempre , come due Lazzari ubriachi, e torniamo ad amarci beati, a volte solo un po' annoiati, e così poi ci uccidiamo e ci baciamo e ci...
<< Hai una sigaretta? >>
Aveva una voce che sapeva di vodka e di sesso. Questa, che può sembrare una licenza poetica, in realtà non lo è: infatti, ci sono certe donne – poche - che hanno l'erotismo pure nell'alito, è qualcosa di denso e palpabile che lo percepisci solamente standole ad una certa distanza, non un centimetro di più, non uno di meno.
E comunque, quando le donne sono così belle, io, cazzo, non ho mai la battuta pronta, specie se nel frattempo vivo una delle mie innumerevoli vite parallele. Mi infilai, impacciato come un chierichetto alla prima funzione, le mani nelle tasche, finché non trovai il mio pacchetto di Winston Silver. Ne sfilai una e gliela porsi. Lei la prese senza dir nulla, oppure disse qualcosa, ma io ero talmente in estasi che non lo sentii. Aveva le dita affusolate e soffici. L'ascensore arrivò al quarto piano, le porte si aprirono e lei scivolò fuori, come una fata fatata, e poi si volse appena e disse distrattamente buonanotte, con un accento perfetto, e lì rividi per un istante i suoi occhi brulicanti: non sembrava russa. O forse sì? Erano occhi quasi da araba. O forse ebrea? Lituana, moldava, ungherese, magari georgiana?

Io volevo dirle che avrei voluto baciarla finché l'intera civiltà occidentale sarebbe crollata e dissolta in polvere, ma coglione come sono, dubito pure di averle semplicemente risposto buonanotte.

Si chiusero le porte: tirai un pugno al pannello dei tasti. Si accese qualche luce e ritornai al primo piano.
<< Hai una sigaretta >> Cazzo! … mi morsicai il labbro.
Gesù Cristo, ero proprio la pecora nera della famiglia per quanto riguardava il capitolo: sedurre una donna in ascensore e poi renderla la futura madre dei tuoi figli.

La luce nella camera di Furkat era ancora accesa. Passai dritto nella mia e mi buttai sul letto senza neppure togliermi i vestiti, afferrai il barattolo di Nutella vuoto che avevo reinventato a posacenere personale ed accesi una sigaretta: il grande pregio delle sigarette, quello di lasciarti insoddisfatto, si eleva al quadrato, quando sei già insoddisfatto di tuo.
Cercai quindi di ripensare al volto della Donna dell'Ascensore, ma per qualche strano sortilegio, era un'impresa impossibile: i contorni svanivano ineluttabilmente,  e ciò che rimaneva fra le mani era solo il bagliore dei suoi occhi ed il suo respiro caldo... un'impressione di bellezza che faceva imprecare.
Aspirai più a fondo, provando a concentrarmi più attentamente: non c'era nulla da fare. 
La sua immagine continuava ad essere uno sfuggente sogno di primo mattino.

Mi addormentai con le scarpe addosso.

03 febbraio 2011

Pokemon caucasici e strani modi di bere cocktails

Scendemmo per un sottoscala. Uno di quelli che crederesti che esistono solo nei filmacci americani. Oramai eravamo così su di giri che non ci avremmo tanto badato neppure se fossimo entrati in una macelleria islamica. Tatjana aprì la porta: un mare di nebbia ci arrivò dritto fino alle narici, che se mettevo il braccio davanti a me non sarei riuscito a contarmi le dita. A me questi locali sprovvisti delle più basilari norme di sicurezza, dove la legge 626 è pura utopia, dove se se scoppia un incendio si muore irrimediabilmente tutti, son sempre piaciuti un sacco, per cui un gioviale sorriso di piacere si dipinse sul mio volto. Girava musica jazz in sottofondo, ma il fumo imperante impediva di capire se ci fosse una band in carne ed ossa o se fosse musica registrata: sui divanetti, strane figure dalle sembianze umane si intrecciavano con solerzia, roteando mani e volti come dei Don Chisciotte impazziti.

01 febbraio 2011

Catarsi

Senza mollare un secondo l'Iphone, Tatjana ci raggiunse, scambiò due baci con Mark, solo con lui, e ci fece cenno di seguirla e noi, ipnotizzati come le vittime del mostro di Rostov, non ce lo facemmo ripetere due volte. Camminammo per qualche metro, per poi scendere nel sottopassaggio che ci avrebbe portato sulla Manezhnaja, in direzione Tverskaja. Il sottopassaggio era carico di fumi di piscio e di vecchi alcolizzati che urlavano qualcosa di incomprensibile, aprendo a fatica le loro bocche sdentate: Tatjana rispondeva con cenni della mano, oppure staccava un secondo l'Iphone dall'orecchio, lo copriva con il palmo della sinistra e nel frattempo sparava qualche imprecazione in russo che incredibilmente riusciva sempre a trasformare quegli ubriaconi in cagnolini silenziosi. Io le ero a fianco, mentre gli altri due stavano dietro di noi, perché, pur avendo un chiaro debole per l'americano, la nostra Tatjana era ancora letteralmente schifata dal fatto che i miei due amici parlassero tre parole in croce di russo.