11 febbraio 2011

La celeberrima sparizione del Cardinetti, part.2

Camminammo per una decina di minuti. Credo di aver visto almeno un centinaio di fontane, ognuna con un proprio caratteristico getto d'acqua che andava a formare un qualche ritmo classico o che so io. Le mie gambe andavano avanti per inerzia, come spinte dal continuo cicalare della buona Anna Tudanova: avevo già ormai perso il filo del suo discorso, ed erano passati solo dieci minuti da quando avevamo varcato il cancello d'entrata. Non era una cosa positiva. Camminare con questa ragazza era come camminare con dei campanellini attaccati alle caviglie: ad ogni passo qualche parola nuova cascava nell'aria e tintinnava per ore nei sottofondi della memoria.
Ricordo che mi mostrò il più vecchio albero di tutta la Russia, una roba maestosa che si ergeva solitaria in mezzo ad un prato curato come un campo di golf, così enorme che gli altri alberi parevano essersi spostati dalla vergogna. Mi spiegò come si faceva a contare l'età degli alberi: evitai di dirle che lo sapevo di già perché pareva tenerci molto a quella spiegazione botanica.

Ricordo poi che ci imbattemmo in un milione di cortei nuziali: le spose erano tutte bellissime, come angeli bianchi inciampati giù dalle nuvole. Gli sposi lo erano un po' di meno, ma volevo bene pure a loro. Io speravo che almeno quella visione calmasse i suoi bollenti spiriti, perché di solito le donne quando vedono i matrimoni si emozionano e fantasticano e sognano ad occhi aperti e fanno tutte quelle manfrine da donne, ma la mia Anna Tudanova non era una donna di quel tipo, o meglio, lo era, ma agli schiamazzi ed ai gridolini ed agli strattoni, la mia Anna Tudanova pensò bene di cospargere il tutto con accuratissime spiegazioni rigurdanti l'iter tradizionale del matrimonio ortodosso, con parentesi sui riti minori di influenza greco-bizantina e le somiglianze e le differenze con le pratiche tribali delle popolazioni della Nuova Guinea. E sapeva pure di architettura e di simbologia religiosa, questa Anna Tudanova: mi spiegò con piena dovizia di particolari il significato dei colori di ogni cupola di ogni chiesa ortodossa mai costruita sull'intero territorio russo, da Pskov a Vladivostok. Io ero così malleabile e buono che se anche avesse iniziato a parlarmi delle geometrie non euclidee o dell'affannosa ricerca dei vestiti durante i saldi, avrei fatto la stessa faccia molto interessata.
Le proposi di sederci su una panchina. Il flusso di persone era cospicuo e mi andava di osservarle.

<< Allora sei qui con altri italiani? E dove andate di sera? Vi divertite? Ah, chissà quante ragazze vi saltano addosso appena sentono che siete stranieri... qua è così, sai? L'hai notato? E non dire di no per paura di offendermi... io lo so >>

A me non son mai piaciuti questo tipo di discorsi razzisti, specie perché sono cose che succedono in ogni paese, anche in Italia la donna viene irrimediabilmente e naturalmente attratta più da un Cayenne  con i cerchi in lega tempestati di diamanti sudafricani che da una Mazda simil Fiesta del 1984 che si accende dopo quattro tentativi, per poi spegnersi dopo dodici metri di strada mica solo in Russia, ed anzi, se proprio si accettava questo discorso, perlomeno qua il mercimonio amoroso si fondava su basi meno ipocrite e velate.

<< Guarda, in realtà siamo tre sfigati che sembriamo più dei terroristi di Al-Qaeda piuttosto che i Marcello Mastroianni del duemila... a me non sembra proprio che sia come dici tu, ma certamente tu devi saperne più di me... io credo che, più semplicemente, le persone, sia uomini che donne, siano, come dire, incuriosite, dal fatto che non siamo di qui, ma di una nazione che, vista da fuori, è probabilmente la più bella del mondo, almeno secondo la concezione tradizionale... però vedi, è la normale routine delle cose... voglio dire, se ti facessi scegliere la più brutta ragazza di Mosca e la catapultassimo in un locale italiano, ti assicuro che tutti i lumaconi del posto le sarebbero addosso, solo per il fatto che il suo elemento esotico la rende mille volte più interessante di una normale ragazza italiana... ma sicuro sicuro >>
Anna Tudanova non sembrò molto convinta della mia spiegazione.
Il discorso andò avanti per un po', sempre su queste linee. Mi sentivo un po' ridicolo ad ergermi a ruolo di difensore della dignità russa, ma ormai avevo iniziato e non potevo più tirarmi indietro, proprio per una questione di principio dialettico, anche se io stesso non ero esattamente così certo delle conclusioni a cui stavo tendendo. Infatti non posso più dire come si risolse la questione, ricordo solo che ogni tanto mi interrompeva dicendomi: << Oh, ma come parli bene! >>, la qual cosa mi imbarazzava un sacco, specie perché stavo parlando come un venditore del pesce di Pomigliano D'Arco.



Dopo questa discussione, credo che le uniche parole che pronunciai per una buona ora furono quando la discreta Anna Tudanova mi chiese: << Ma se ti dovessi perdere, qui, in questo posto e-norrrrr-me, riusciresti a chiedere a qualcuno le indicazioni per uscire? >>
Per chi mi aveva preso, questo disgraziato Cerbero in minigonna? Le sputai fuori qualche parola senza alcun rispetto per i casi e per la consecutio temporum e le venirono gli occhi a cuoricino. << Ma come sei dooolce quando parli in russo, Claaaudio! >> Non capivo se mi stesse pigliando per il culo. Certamente lo stava facendo.

Dopo di ciò, la feconda prosciuttona Anna Tudanova partì con una violentissima tirata autobiografica su tutta la sua esistenza, passata, presente e futura. Iniziò raccontandomi i primi anni '90, anni di grande povertà dopo l'uscita dal comunismo, mi raccontò della fila per prendere il pane e della miseria imperante, delle strade sporche e piene di orfanelli, della gente non usciva di sera per paura di subire violenze e della mamma che lavorava giorno e notte per guadagnare quattro rubli in croce ed assicurare così un futuro a lei... Quelli erano racconti che mi piacevano molto: erano immagini forti, e lei li raccontava bene, con belle pennellate espressioniste di parole... aprii la bottiglia di birra e buttai giù qualche sorso, così, giusto per rinfrescarmi il gargarozzo. Ormai avevo capito che dovevo starmene zitto come uno sgombro del delta del Po a sorbire tutto il suo bildungsroman, per cui decisi di mettermi più comodo: spostai le gambe in modo che non toccassero più il suolo, direttamente sulla panchina, così da poterla guardare negli occhi mentre raccontava quest'esaltante popea tudanoviana, senza girare il collo di settecentoventidue gradi ad frase, che erano davvero moltissime. Mi pareva sgarbato non farlo.

Gli anni volavano, pesanti come aironi imbrattati di petrolio: aveva la straordinaria capacità di riassumere un anno di esistenza in massimo trecento parole, virgole e punti esclamativi esclusi. Dovevano essere le tre spaccate di pomeriggio: il sole assassino batteva forte sul mio testone nero, ed in più non mi facevo la barba da tempo immemorabile... sembrava che il sole battesse solo su di me, un po' come la nuvola di pioggia su Fantozzi. Pensai: devo bere alla svelta, altrimenti la birra diventa camomilla e poi fa schifo e vomito, e con la donzelletta qui faccio una figura barbina e dovrò fuggirmene nella taiga siberiana a pascolare gli armenti per superare l'onta. Bevetti quindi più alla svelta. Eravamo arrivati alle sue scuole medie: gravissimi attriti con una compagna di classe georgiana. Le aveva rubato il fidanzatino, quella sporca troia. Litigi incredibili durante l'intervallo. Esaltanti storie di capelli tirati. Si dibatteva sul primato temporale dei rispettivi menarchi. Avevo mai incontrato delle georgiane? No, non le avevo ancora incontrate. Le georgiane hanno una marea di capelli neri , perlopiù ricci, e si truccano come zoccole, diceva Anna Tudanova. Mi pareva una descrizione davvero molto interessante: non avevo mai pensato alla Georgia come una nazione con potenziali belle donne. La ragazza dell'Ascensore poteva essere georgiana? No-o-o, lo esclusi. Da come mi parlava Anna Tudanova, queste georgiane eran delle specie di terrone più nere della pece. La mia ragazza dell'Ascensore aveva sì i capelli neri (o erano castani? Ancora il suo volto non si materializzava nella mia memoria, c'era solo la sua voce e le poche parole pronunciate), ma era così bella, raffinata ed austera... come una strega di stirpe regale: no, senza dubbio non era georgiana. Celebrai l'esclusione dalla Georgia dal mio mappamondo con un bel sorso di birra. Mi pareva di sentire l'intero percorso delle bollicine dalla mia bocca fino allo stomaco, o fin dove arrivano quei cazzo di liquidi una volta che li butti giù. Dovevo mangiare qualcosa? Avevo dimenticato pure l'idea stessa di mangiare. Il sole bruciava come fuoco nella trachea. Eravamo passati ai racconti del liceo.

Alle superiori persi definitivamente il filo del discorso: avevo strane allucinazioni... C'era una parte di me che pur di farla star zitta aveva cominciato a baciarla, ma proprio di gusto e di passione, come un salmone norvegese, che risaliva la corrente delle sue tonsille ipereccitate, e c'era un'altra parte invece che la prendeva a calci nel culo e la buttava nel laghetto, vicino agli anatroccoli, e poi tornavo sulla panca, mi accendevo una sigaretta, incrociavo le gambe e la guardavo fare qua-qua fra gli anatraccoli. Erano immagini che mi facevano ridere: anche Anna Tudanova rideva. Però credo che ridesse per cose che stava raccontando lei... è difficile dirlo.
Improvvisamente passò a parlare, chissà perché, della Siria, questo me lo ricordo bene. Insomma, pareva che suo padre fosse siriano, o qualcosa del genere, però Tudanova non mi pareva mica un cognome tanto siriano... ma come potevo chiederglielo? Arrivai alla conclusione che dovevo aver perso il pezzo in cui mi spiegava che i suoi erano divorziati e che ora sua madre stava con un siriano. Era sgarbatissimo fare di nuovo accenni su di un argomento così delicato, si capisce... La lasciai parlare. E poi il discorso era già più interessante ed io rientrai un po' in me – non sapevo neppure esattamente dove fosse, questa Siria.
Ora quindi eravamo in questa Siria, nazione dove Anna Tudanova si recava di frequente. Iniziarono una serie di particolari strani: lei in questa grande casa bianca – c'è il sole in Siria, le case sono bianche come in Grecia - e nel cortile questi siriani in motocicletta che le facevano la serenata... non ero sicurissimo di aver capito bene, mi pareva più la trama di un film di Stallone... per schiarmi un po' la mente, ci bevetti sopra dell'altra birra. Mi vibrò il telefono: doveva essere il Maestroni. Ci pensai su un secondo: in effetti non avevo detto a nessuno dove avrei passato il pomeriggio... ma figuriamoci se un gentiluomo come me si mette a rispondere al telefono dinanzi ad una fanciulla. Feci finta di nulla e ci bevetti sopra dell'altra birra: ormai era quasi finita. Era diventata davvero buonissima con il tempo, ed era proprio un peccato che non ne avessimo prese due bottiglie. Sfoderai un  poderoso sorriso jamesdeniano e la invitai a proseguire nell'esaltante racconto.
In Siria c'è una festa: non capisco più se mi stia raccontando la sua vita od un racconto de “Le Mille Ed Una Notte”... Di nuovo i siriani in motocicletta... irrompono da qualche finestra... ci sono le scimitarre ed i veli... lei aveva bevuto un po' e ballava discinta sui tavoli... Ed il sole ora lancia pugnali avvelenati e mi sorride beffardo, come nei disegni dei bimbi... il sole mi squarcia le budella... le persone diventano puffi, Anna Tudanova è Gargamella... vedo blu e viola e i colori dell'arcobaleno tutti... barcollo come una damigiana rotta e quasi cado dalla panca! Ma in un improvviso attacco di lucidità, riesco a metter giù le gambe prima della catastrofe finale.
<< Ma-ma-ma Claudio! Non dirmi che sei già ubriaco! Deve venire ancora il bello! Dai, andiamo a fare una camminata, così ti riprendi! >>
Mi prese di nuovo per mano e mi portò in un'altra zona. Doveva proprio amarmi alla follia.

Se Smerdjakov aveva gli istanti di lucidità pochi secondi prima di un attacco di epilessia, io senza dubbio ho istanti di genio durante una sbronza. La camminata mano nella mano con la sgarzetta mi scaldò l'anima e mi fece riprendere: potevo sempre immaginarmi di stare passando la giornata con la mia Ragazza Dell'Ascensore, in fondo, il mondo è solo la nostra rappresentazione. Mi accesi d'amore e di passione, avevo la lingua di fuoco di Dio calata sulla testa e parlavo meglio di uno zar antico:
<< Anna! Scusami un secondo, fermati un attimo, prima che mi dimentichi... Ecco, così. Volevo dirti, volevo dirti, è così bello qui, dio mio, è così bello che mi viene da piangere! Mi vuoi sposare? Sposiamoci qui, su, perché no? Ah, diamo fuoco al mondo e costruiamone uno nuovo solo per me e te, ti va? Sono un pessimo elemento, lo so, ma sono anche un bravo ragazzo, in fondo... anche tu lo sei, si capisce. Sposiamoci! Voglio i confetti! Ora chiamo tutti i miei amici italiani, prendono un volo ed arrivano tutti qui... lo so! Mi vogliono tutti bene. E lo vorranno pure a te, mia cara! Sposiamoci così... sposiamoci nudi! Nessuno lo ha mai fatto, sbaglio? Nudi, e chi se ne frega! Poi ci buttiamo nel lago e mangiamo le anatre! Hai mai mangiato un'anatra viva, mia dolce Anna? Io no. Non ho neppure mai sposato una donna, se per è per quello... ma tranquilla! Non è mica difficile... Nessuno sa come si ama se prima non ci prova... mica nasciamo con la scienza infusa... Una costinata! Voglio tantissime salamelle... e anche le costine. L'ho già detto? Mi piacciono molto. E litri e litri di vino rosso... Voglio che la gente si diverta... sono stufo di queste facce tristi, Gesu Cristo. Ne avete qui di vino rosso? Ah fa nulla, portiamolo dall'Italia , ah! E la musica, Cristo, la musica! Vorrei tanti violini, per favore. Ti piacciono i violini, Anna Tudanova? >>.

Mi fermai. Mi mancava l'aria. Lei stava ridendo come un'oca, mentre io ero stato serissimo. Ero terribilmente offeso. Mi disse che ero tutto pazzo ed era la birra che stava parlando al posto mio... ma che ero stato fantastico, che dovevo continuare a parlare perché quasi quasi la stavo convincendo... E giù altre risate di pancia. Solo che io sapevo di essere serissimo, e che se solo lei avesse detto un semplice da, io l'avrei sposata, così, su due piedi, senza neppure mezzo pensiero a riguardo. Sì, l'avrei sposata, senza dubbio: dobbiamo pure seguire le nostre passioni, ogni tanto... la vita è così terribilmente corta.

09 febbraio 2011

La celeberrima sparizione del Cardinetti, part.1


Volai di corsa al MGU, presi il regalo datomi da mia madre ed arrivai incredibilmente puntuale davanti alla statua di Pushkin. Aleksandr era fermo immobile in mezzo alla piazza e mi guardava in modo strano. Faceva un caldo terribile. Aleksandr sembrava muoversi dal suo piedistallo. Aleksandr si muoveva. Strabuzzai gli occhi. Non so come feci a non buttarmi nella fontana. .

Anna arrivò con mezz'ora di ritardo. Solitamente mi fanno girare i coglioni le persone in ritardo, ma quel giorno no: avevo le visioni ed ero inspiegabilmente di buon umore. Mi pareva di essere ubriaco senza aver bevuto praticamente nulla. Ed in effetti devo aver letto da qualche parte che le sbronze migliori sono quelle che si raggiungono senza alcol: occorre solamente spingersi a capofitto in una direzione, ad esempio non dormire per quarantotto ore, oppure non alzarsi dal letto per tre giorni interi, oppure bere quattordici litri di acqua, e così via. Ci si può ubriacare di tutto, di vino, di donne, di poesia, è sempre un piacere.

Apparì con un vestito bianco, uno di quelli un po' larghi e svolazzanti che – non sono un esperto, ma azzardo – usano le donne leggermente in sovrappeso. Lo so che si dice che il nero snellisce, ma secondo me anche certi vestiti bianchi lo fanno. Questa Anna, comunque, appariva molto più in carne rispetto alle foto che mi erano state mostrare: doveva essere l'alcol che le stava lentamente distruggendo le membra, poverina.

<< Eh-eh-eh, ma devi essere tu Claudio! Ma che ca-a-a-rino che sei, tutto uguale a tua madre! >> Proruppe lei, baciandomi con voluttà. Il suo abbraccio mi confermò che era proprio una bella prosciuttona.
<< Anche tu sei molto bella, Anna! E che bellissimo vestito che hai! >> Ero sincero, almeno per quanto riguarda il vestito. Sulla sua bellezza non sapevo ancora, dovevo osservarla meglio, ma nel dubbio è sempre meglio fare un complimento in più che uno in meno, almeno credo.

Pensai bene di sbolognarmi subito del regalo: ne fu contentissima, o almeno, così è quello che mi diede a vedere. Con mia grande sorpresa, anche lei aveva un regalo per mia madre, e ciò significava che dovevo passare tutta la giornata con in mano qualcosa: era una situazione molto brutta, sia da vedere che da pensare. In seguito scoprì che il suo regalo era stato evidentemente preparato al momento ed alla rinfusa dopo che io le avevo comunicato per telefono che ne avevo uno per lei, ma quel che conta è il pensiero, no, e poi erano faccende di mia madre, a me poco importava.

Percorremmo giù la Tverskaja fino alla stazione di Teatralnaja. Lì prendemmo la verde in direzione Brateevo. << Ti porto in un posto splen-di-do, mio caaaaro Claudio! >> mi disse Anna, sempre sorridente e giuliva. Ero molto contento: non ero mai stato nella zona sud con la metro verde. Era una linea che ogni tanto sgorgava in superficie, per poi ributtarsi a capofitto nelle oscurità della terra: pareva di essere sulle montagne russe. L'unico problema era che avevo sempre questo regalo fra le gambe che sembrava stessi covando un uovo. Pensavo che se la mia compagna si fosse girata un secondo, avrei potuto buttarlo fuori dal finestrino. Non era un'idea stupida dopotutto. Ero sicuro che non se ne sarebbe neppure accorta.

Ricordo che sulla metro potei parlare. Mi chiese come andavano le cose a casa. Io le raccontavo a grandi linee ed un po' a ritroso, anche perché sapeva già qualcosa, e nel frattempo le studiavo gli occhi: sì, aveva degli occhi buoni... e non era neppure bruttina. Aveva uno strano viso allungato, sulla quale spiccava un naso ladygaghiano. Sì, col senno di poi direi proprio che aveva qualcosa di Lady Gaga, questa Anna Tudanova. La cosa che meno mi piacevano di lei erano i capelli, che erano di un castano spento e senz'anima, ma in generale, era una donna con il suo perché, non priva di un certo grado di fascino.
<< Ma è vero che leggi Tolstoj, Dostoevskij, e tutta quella gente lì? >> Mi domandò lei, cacciandomi le sbardelle indagatrici in faccia.
Per qualche motivo trovai la domanda un po' imbarazzante. Risposi sì di malavoglia.
<< Oh-oh-oh, ma è davvero fantastico! Ma li leggi in lingua originale? >>
<< See, buonanotte... In lingua originale non saprei neppure leggergli il numero delle scarpe >>
Scoppiò a ridere come una bomba atomica. Tutte le persone del vagone si voltarono verso di noi: io avevo ancora quest'uovo di un regalo fra le gambe e parevo Buddha. E poi non faceva neppure così ridere quella cosa del numero delle scarpe.
<< Seriamente, è fantastico... sai, è così strano per me che uno straniero legga i nostri autori e gran parte dei russi stessi non li abbia mai letto... è strano, non trovi? >>
<< Sìsì, E' strano. Dev'essere per lo stesso motivo per cui io sono a Mosca ma non sono mai stato a Roma, per dire. >>
E giù altre risate, tintinnanti come una lavatrice rotta. Quest'Anna trovava divertente ogni minchiata che sparassi.

Arrivammo alla fermata di Tsaritsino.
<< Scendi, su, su, di corsa! >> mi afferrò per la mano e mi trascinò fuori. Tutte quelle confidenze e tutto quel contatto fisico dopo pochi minuti dicevano una sola cosa: la gallinella era già innamorata, non c'era scampo. Don Juan Cardinettos De La Mancha aveva colpito ancora una volta.
<< La conosci, Tsaritsino? E' una specie di Versailles russa, venne costruita nel sedicesimo secolo... o era nel diciassettesimo? Ah, non importa, ah-ah, che stupida, scusami! Non pensare male, su! Mi pare riguardasse Boris Godunov... sìsì, lui c'entra di sicuro nella faccenda! Vedrai che meraviglia! Ci sono un sacco di spose, e di fontane me-ra-vi-glio-se, credimi! Andiamo, andiamo, veloce! Dio, come sei lento! >>
Subito fuori dalla metro ci stava un cancello che delimitava uno spazio davvero infinito di verde, fino all'orizzonte. Anche l'aria sapeva di diverso.
<< Sai, caaaaro Claudio, questo è il posto preferito per i moscoviti per venire a fare pic-nic e cose di questo genere... anche per limonare, certo, ah-ah! E' bellissimo, non trovi? Ah che stupida, ma ancora non si vede nulla, non dire niente, non dire niente, aspetta! Ah, ma perché non prendiamo anche noi qualcosa da bere? Ci verrà sete tra poco, non trovi? Sìsì, lascia fare a me, vieni, su, veloce! >>
Io non potevo proprio materialmente dire alcuna parola, neppure se lo avessi voluto. Quest'Anna metteva sì qualche punto di domanda nelle sue parole, ma non lasciava il tempo per lasciare all'interlocutore la possibilità di rispondere. Ma prendere qualcosa da bere mi parve subito un'ottima idea: da quel sorso di Stolichnaja sul treno era passato troppo tempo.

Entrammo nel solito produkty decadente d'ordinanza. C'erano patate a tutto spiano. I commessi stessi parevan fatti di patate. Montagne di patate di ogni dimensione e forma... Il mondo era diventato una patata. Stavo diventando pazzo? Probabile... Mi piaceva l'aria che si respirava, in quel produkty. Le addette al reparto macelleria tagliavano con lentezza mortifera fette di manzo sanguinolente, che cascavano con un tonfo sordo e venivano rapidamente impacchettate, e non una ruga si muoveva sui loro volti di carta vetrata.  Qualche ubriacone arraffava distrattamente lattine di birra da sessantasei centilitri, bofonchiando maledizioni dai loro denti di carbone. Una bimbetta con i capelli d'oro afferrava con difficoltà delle caramelle colorate... La mia Anna si muoveva sicura come un cane da tartufo. Afferrò un bottiglione di plastica di colore marrone e delle patatine al gusto di pollo fritto.
<< Questa birra è de-li-zio-sa, credimi! Ah ma che stupida, certo che ti va un po' di birra, voi italiani non bevete solo birra? Ah no scusa, mi ero confusa, voi bevete vino rosso, sì? Comunque hai sete, sì, la prendiamo? E' buo-nis-si-ma! >>
Anni ed anni di convinzioni che la birra in bottiglia di plastica fosse quella dei barboni della stazione ridotti in cenere. Sorrisi. Chi tace acconsente, no?

Armati col nostro bottiglione di plastica di birra e di deliziose patatine al gusto di pollo fritto, varcammo i cancelli d'entrata. Dopo cinque minuti di camminata in qualche specie di forestone con alberi secolari ed appuntiti, il panorama si schiarì un poco: era veramente un posto magnifico, una delle cose più impressionanti che abbia mai visto nella mia vita - s'intende, dopo il porno della grassona vestita con un costume da balena montata su di un peschereccio.
Era un andirivieni di declivi e dolci pendii e fontane bianche che sprizzavano acqua in cielo che ricadeva in mille frantumi rinfrescando l'aria tutta, e c'era pure una specie di laghetto con un'isola in mezzo e nugoli di anatroccoli grossi come pugni, ed alcune barchette intorno che sprizzavano amore da ogni asse, e palazzoni barocchi di quelli che pensavi esistessero solo nei libri... faceva davvero venir voglia di innamorarsi. Ma di chi? Pensai che un giorno avrei dovuto portare la Ragazza dell'Ascensore. Era una promessa che mi facevo con me stesso... Non potevo certo farla a questa Anna Tudanova.



07 febbraio 2011

La celebre gita ad Abramtsevo

Mi arrivarono due ceffoni in faccia. Era Furkat.
<< Svegliati, partiamo fra dieci minuti >>.
Mi ero completamente scordato della splendida escursione ad Abramtsevo.