C'è un modo estremamente efficace per distinguere un vero uomo da un glabro eunuco: basta osservare il suo comportamento in un bagno pubblico - se si dirige verso gli orinatoi, o come diavolo si chiamano quei cessi attaccati alla parete, allora potete tranquillamente permettergli di chiavare la vostra amata cuginetta, perché non le farà alcun male e la tratterà sempre da vera principessa. Diffidate invece da chi si nasconde dietro le porte dei cessi, a meno che non desideriate un compagno di vita che sulle soglie della mezza età sentirà il profondo desiderio di farselo mettere nel culo dal travestito boliviano all'angolo: un uomo che si vergogna di mostrare con fierezza il proprio pene ai suoi simili durante la minzione, infatti, nasconde il più delle volte una grave forma di omosessualità latente o, ancora peggio, soffre di gravi complessi al fallo.
Io ricordo sempre con grande piacere la mia prima volta ad un orinatoio: successe nei bagni dello stadio di San Siro, dovevo avere cinque o sei anni. Avevo bevuto il solito litro gigante di Coca-Cola e la mia povera vescica di cinquenne non ce la faceva proprio più: la partita doveva ancora iniziare, c'era un sacco di gente – forse era un derby - e la fila per i cessi tradizionali era così lunga che me la sarei di certo fatta addosso, se avessi aspettato il mio turno. Allora mio padre mi indicò qualcosa che non avevo mai notato prima: degli strani cessi volanti, popolati da uomini a capo chino, le gambe lievemente divaricate e le braccia protese in qualche punto davanti: li guardavo incuriosito, come fosse un negozio di caramelle proveniente da Marte, quando ecco che uno di loro si tira su la cerniera, si strofina un poco le mani e se ne va, lasciandomi via libera.
Questo cesso volante era angosciosamente alto, di un colore che originariamente doveva essere bianco perla, ma che ora tendeva più al giallo canarino, ed in più mandava un puzzo terrificante: era una cosa disgustosa, ma era una cosa nuova, pertanto estremamente affascinante. Mi tirai giù religiosamente la cerniera come avevo visto fare all'uomo che mi aveva preceduto, srotolai la fanfara, mi alzai un poco sulle punte per prendere meglio la mira, e bum! feci fuoco... ma il rumore che ne saltò fuori fu tremendamente moscio: niente in confronto a quelle vere e proprie cascate del Niagara che sentivo dai miei compagni d'avventura di fianco a me... ero delusissimo. Improvvisamente l'unico desiderio della mia giovane vita era quello di diventare grande, per avere un getto potente come il loro, come quello di questi uomini che continuavano a stare a capo chino, e contemporaneamente borbottavano qualcosa con il vicino, o con l'amico che aspettava poco distante. Parlavano di calcio, e poi di religione, e poi di animali, animali perlopiù di fattoria che mi piacevano molto. Non mancava nessuno all'appello: c'era Dio, c'era Gesù, ed ogni tanto c'era pure la Madonna. Io avrei tanto voluto partecipare alla conversazione, perché a catechismo a quei tempi ero bravissimo e sentivo di poter dare molto a quei nuovi amici, ma una strana timidezza mi avvinghiava contro il mio cesso volante e m'impediva di parlare.
Avevo finito: mi ricordai stranamente di tirarmi sulla cerniera e mi guardai un attimo attorno, fiero ed allo stesso tempo intontito, dalle novità e dal puzzo: notai che tutti i miei compagni evitavano accuratamente di fermarsi al lavandino, pensai che così facessero i grandi e mi adeguai anch'io: le suore dell'asilo dovevano avere torto marcio con tutte le loro cazzo di tradizioni igieniche.
Mio padre mi passò lieve una mano fra i capelli e mi disse di accelerare il passo, perché stava per iniziare la partita. Io camminavo fra la folla infrettolita tronfio come un pavone, una miniatura ridicola di Mosè che attraversa il Mar Rosso: ero finalmente diventato un uomo, niente poteva fermarmi.
A questo pensavo mentre aprivo le porte dei bagni del Karma Bar: l'aria era profumata di viole e l'atmosfera era silenziosa, si udiva solamente qualche goccia che cadeva in lontananza. C'erano quattro orinatoi, ed uno solo era occupato: il primo di destra, un uomo in giacca nera, dai capelli spettinati ed unti, sempre con le consuete gambe lievemente divaricate ed il capo chino, che pareva stesse blaterando con il suo cazzo.
Si poneva un problema: la scelta dell'orinatoio. Quale scegliere fra i tre rimasti liberi? La maggior parte delle persone sceglierebbero il primo di sinistra, e questo non mi sorprende, perché la maggior parte delle persone sono irrimediabilmente stupide: scegliere l'orinatoio più lontano rivela infatti profonda insicurezza di sé ed infrange uno dei capisaldi del codice segreto del Genere Maschile. La risposta giusta è: il secondo da sinistra. La regola generale da seguire è la seguente: che ci sia un cesso di distanza fra un pene e l'altro, ma mai più di due, ovviamente da calcolarsi sull'affollamento presente: se tutti gli orinatoi sono occupati e siete spalla a spalla con qualcuno, ricordatevi la semplice regola di tenere il collo rigido di fronte a voi e di non inclinare mai il capo, né a destra, né a sinistra, e nonostante questa rigidità di postura, ricordate di essere sempre pronti alla conversazione, perché ciò di cui si discute nei bagni sono il più delle volte autentiche perle di saggezza che andrebbero tramandate ai posteri, ed è così che mi accingo a fare anche io, nel mio piccolo.
Insomma, attacco con il rituale: gamba divaricata, ricerca, srotolamento, mira, fuoco. Fischietto. Ah, com'era bello! Ah, che paesaggi che vedevo! Dovrebbero inventare il modo per prolungare la durata della minzione, che so, farla diventare di due o tre ore, tramite qualche marchingegno speciale a neutroni. La gente starebbe molto meglio e sarebbe più felice. Rido fra me e me di quella idea di una pisciata di due ore, ah, Cardinetti, tu sì che la sai lunga! La risata attira l'attenzione del mio collega di bagno. Lo vedo con la coda dell'occhio che si è voltato a sinistra... vuole dirmi qualcosa.
<< Escus me... are you from Karma Bar? >> Inglese terribile. Ubriaco marcio, forse fatto. Occhio vitreo e perso, pare che gli caschi fuori dalle orbite.
<< N-n-n-oooù... >>
<< Good... d-d-d-o you haaave... have some dra-aaaaks? Saaame pi-pi-pi-pi-lls? >>
<< Nahh, I'm really sorry, dude >>
<< Mebbe... you-u-u know where I can finnnn... f-AAAAA-ind dem? >>
<< I've no idea, I'm sorry, I'm not from Moscow >>
<< I see... And where are you froooum? >>
Ormai aveva completamente perso qualsiasi cognizione spazio-temporale. Se ne stava di fronte a me col pipino in bella vista, fissandomi con quegli occhi strizzati e senza vita.
<< I'm from Italy... close to Milan >>
<< MA PORCA PUTTANA, ma proprio un italiano dovevo beccare?! >>
Grassissime risate dell'amico tossico. Par riprendersi d'un colpo, come se si svegliasse da un incantesimo: rimette in gabbia il passero, si avvicina e mi tira una sonora pacca sulle spalle che ahimé non riesco proprio a scansare. Sorrido anch'io: in effetti era proprio una situazione divertente e surreale, uno straccione di quarant'anni di Verona che mi chiede se ho della droga mentre piscio in un cesso di un locale di Mosca... solo a me poteva succedere. Altre pacche sulle spalle, qualche nota introduttiva e autobiografica e ci lasciamo, spiritualmente più ricchi, moralmente più felici, internamente più vuoti.
Amico Marco di Verona, se mai dovessi leggere queste parole, sappi che il ricordo del tuo sguardo perso e del tuo inglese zoppicante me lo porterò fino alla tomba, come se tu fossi una sorta di grande fica vogliosa proveniente dalle più sperdute regioni della Baschiria Orientale.