04 dicembre 2010

Il Real McCoy, part.1

Il Real McCoy, localino che ai tempi mi fu specificamente segnalato nella guida fornitami dal buon Tobe, impareggiabile amico che, bontà sua, campò qui per un intero anno, si trova un poco imboscato sulla Kudrinskaja, vietta che taglia il Sadovoje Kol'tso, e si trova facilmente uscendo dalla metro Barrikadnaja. Di notte la zona si riempie di baracchini di uzbeki venditori di shashliki e di taxi più o meno ufficiali che strombazzano come cani infuriati per poter caricare per primi i rifiuti semideambulanti che progressivamente vengono cacciati fuori dal locale, ma a conti fatti, a meno che a far di conto non ci sia qualche capra timorata di Dio, la zona è tranquillissima, ed infatti il Cardinetti, che sfoggia un paio di pantaloni bianco shocking da far invidia al Costantino Vitagliano dei tempi d'oro, si fa largo fra gli stuoli di musi semigialli grondanti pezzi di carne dalle labbra alla guisa del Mosè durante l'apertura del Mar Rosso.
Avvicinandosi all'ingresso, lo sherpa camuno spiega all'ignaro yankee una delle basi fondamentali del gozzovigliare moscovita: il face-control.
<< Ingresso gratuito, come in Estonia. Ma lo vedi quel tizio grosso all'ingresso? E' lui che decide chi entra e chi sta fuori. Solitamente agli stranieri di nazioni grosse non fanno troppe storie, comunque lascia fare a me e tu non dire nulla. >>
 Mark si caca in mano. Ha scritto in faccia di essere del New Jersey. Face-control, ah? Pensa alla Siberia, arcipelago Gulag, niente più wi-fi, i Dallas Cowboys vincono il Superbowl, Obama rivela essere un travestito, invasione di alieni, Keis diventa cristiano...

<< Otkuda vy? >>
<< Italia! Ah ah!>>
<< Aaah, italiano! prohodite, prohodite!>>
Il Real McCoy, che di giorno è un tranquillo ristorantino per annoiati uomini d'affari, nelle sere dei weekend si trasforma nella bolgia dei dannati: Capaneo in console spara trashisshimi pezzi anni gorbacioviani, con una spolveratina di Zucchero e una cucchiaiata di Celentano remixato da un giostraio sbronzo di Ufa, nella dancehall, che in realtà non è dancehall affatto, ma è uno spazio ricavato dall'aver rimosso i tavoli solitamente adibiti al ristoro, si arruffano i lussuriosi, e qui Paride ed Elena, e qui Paolo e Francesca, e qui Didone e... e qui Didone e Maestroni, solo che la Didone in questione non ha mica gli occhi da kazaka: par quasi di Pskov, o di quelle zone lì a metà strada col confine estone, ed io su queste cose antropologiche sono bravissimo ed ho un margine d'errore di dieci chilometri, per cui al limite estremo può essere di Ljubjatovo.
Quando il fisioterapista mi vede, ci manca poco che non sputi il Long Island che tiene in mano in faccia alla sgarza: con un rapido gesto del suo possente braccio, scaccia la malcapitata come se fosse un cazzo di moscerino capitatogli in una notte afosa sul fiume Brembo e mi si avvicina, ovviamente arricciandosi la folta chioma leonina.
<< Non ho voglia di spiegarti niente, stronzo. Starò qua sei mesi, forse più, forse meno, se mi getteranno anzitempo nella Moskva, per cui vediamo di far fruttare questo tempo, visto che finalmente siamo qui, ok? Chi è quella? >>
 << Chi, la bionda? Ma che cazzo ne so, mi si è attaccata al culo da dieci minuti. Deve aver notato quanto apra facilmente il portafoglio per prendere bere. E' già mezza ubriaca, lo vedi? non si regge in piedi, prima che ti vedessi continuava a gridarmi nell'orecchio che era contentissima di stare ballando con Enrique Iglesias. Muy felitse mi fa, la capra. Enrique Iglesias, oh! Se ti sbrighi quella è tua, non devi neppure portarla... a proposito, ma dove cazzo stai? Morto di fame come sei sei capace di startene sei mesi nell'Aleksandrovksij Sad coprendoti coi cani randagi! Se sei venuto a scroccarmi un posto caschi male, perchè ci manca poco che debba dormire già in piedi di mio. Ah, fanculo, non dirmelo, ne parliamo dopo... dicevo, dalle pure una ripassata nei bagni, il buttafuori è mio amico e nessuno verrà a romperti il cazzo. Ma vacci piano e fila sul sicuro, che quella è più carica di malattie del Gange. Ce li hai, vero? Aspetta, dovrei avercene... No, niente... boh, forse c'è il distributore nei cessi. E vaffanculo, mica eri te quello che diceva sempre che voleva morire? Montala a secco e cadi da uomo. Al massimo vengo a controllare io, nel caso mi venisse voglia di farmi dare una smanettata, sai, non si sa mai con questo freddo, e poi... Cristo! scusa se parlo troppo, ma mi capisci, porca puttana! >>
<< Zero. Sai che non amo quelle a cui puzza la fica. Piuttosto, andiamo a bere qualcosa che ti presento Mark. Magari la molliamo a lui, ti ho mai detto che gli americani vanno pazzi per le passere sbronze? >>

02 dicembre 2010

Il mio compagno di camera, part.2

Furkat è così magro che la sedia coi braccioli su cui poggia le sue fragili chiappette rachitiche pare inghiottirlo, i suoi occhiali, mezzi storti e continuamente bisognosi di essere sistemati sul naso con l'indice della mano destra, presentano una curiosa particolarità: la lente destra è estremamente più spessa di quella sinistra. Considerando che io sono completamente cieco dall'occhio opposto, direi che formiamo proprio una bella coppia di menomati fisici. Ha capelli lunghi, fini come spaghetti ed unti come frittelle del Giovedì Santo, che gli raggiungono le spalle, ed io m'immagino che shock sarà se per caso lo dovessi incontrare mezzo addormentato di notte mentre mi accingo a cambiare l'acqua al Redentore.

Come mai sei qui, italiano?

Mi parla in inglese, sottovalutando le enormi capacità nella lingua di Tolstoj che ho rapidamente affinato durante il mio soggiorno in territorio baltico.

E' una bella domanda. Forse è meglio che te lo spieghi un altro giorno... comunque parlo un po' di russo...

Non mi interessa. Preferisco migliorare il mio inglese se non ti dispiace, italiano.

No, che, a me? figurati! Basta che non parliamo in uzbeko!

Ma Furkat non ride, anzi, torna a guardare lo schermo, dove nel frattempo è arrivato pure un rospo. Effettivamente non è stata la battuta più felice della mia lunga carriera di pluripremiato umorista preraffaelita. Raccolgo quindi i miei due stracci e le mie espadrillas umide e, silenzioso e umiliato come un ratto gigante di Bucarest, me ne ritorno nel mio scalcagnato buco.

La doccia: ho chiaramente dimenticato i miei preziosi infradito griffati Calvin Klein, comprati per 9,99 euro al Coin di Bergamo, e sono quindi costretto, almeno per il momento, a poggiare i miei divini piedini, che tanto terrore sparsero sui campetti spelacchiati di tutta la bergamasca, su aitanti incrostazioni di color giallognolo che spuntano come funghi dal pavimento del bagno. La doccia è ovviamente sprovvista di tendina riparatrice, ed io, che già trasformo tutto nel lago Bajkal quando tale tendina è presente, non oso immaginare che cosa salterà fuori al termine delle mie meticolose abluzioni. Insaponandomi con estremo piacere l'Omega, mi scappa una timida bestemmietta: questo ph sovietico evidentemente non mi si addice. Speriamo che Furkat non mi abbia sentito.

Profumato come una escort minorenne prima di fare le piroette sul lettone di Papi Berlusconi, mi dirigo al terzo piano, dove pare sia collocato il figlio di puttana americano. Stanza 166, un numero che mi ispira dolci ricordi. Dovrei smetterla con 'sta storia dei numeri perchè mi fa sentire un accanito lettore della Torah.

Deja vu: me lo ritrovo di fronte al laptop intento a guardare una partita di quelle seghe umane dei Dallas Cowboys. Ricordo quando cercò di spiegarmi le regole del football americano, durante una solitaria notte estone: incomprensibile come il teorema di Ruffini, questo sport balzanissimo costellato di interruzioni pubblicitarie.

Tu quoque, Mark? Lo yankee pare notevolmente cambiato dall'ultima volta che lo incontrai: non più quei banalissimi capelli lunghi da hippie post litteram, ma uno sbarazzino taglio sfilato, molto simile ad uno di quelli con cui feci intere stragi di estrogeni durante l'indimenticabile annata 2006/2007, anno in cui il Cardinetti raccolse le seguenti onoreficenze che vado ora ad elencare:
  • Primo classificato nella categoria "Sedurre donne sessualmente frustrate".
  • Primo classificato nella categoria "Composizione di opere letterarie volte all'ottenimento dei favori delle suddette donne sessualmente frustrate".
  • Premio della giuria "Miglior elocutio degli ultimi 500 anni, Concilio di Trento compreso".
  • Nota di merito per la scoperta della skill danzandi "No-look con castigo finale".
  • Primo classificato ex-aequo nella categoria: "Riscopritori dell'importanza del Triangolo nella vita moderna".
  • Laurea honoris causa all'Università del saltare sessioni d'esame.
 Salto i convenevoli perchè non interessano a nessuno, e d'altronde non siamo neppure due che amano farli. Ritengo sia molto più importante sapere chi sia il suo coinquilino.

Mah, uno strano tizio, pare sia lettone, ma non parla molto bene né inglese né tantomeno russo... Guido, Gvido, dunno...

Sempre meglio che avere un pederasta zoofilo, gli fa il Cardinetti, lingua tagliente come una lama Mach 3 di quelle che usava il Cannavaro.

James Fenimore Cooper mi chiede se me la sento di uscire subito stasera. Ma che cazzo di domande, sei proprio uno stupid Amerrecano tu! Cardinetti, il vitalista del 2050, l'Andrea Sperelli degli straccioni, l'Arthur Rimbaud dei mentecatti, non se ne sta mica chiuso in cameretta nella sua prima notte moscovita, ah no porca puttana in fregola, specie se a distanza di un muro c'è un ussaro uzbeko intento a guardarsi il Discovery Channel in formato porno!
Prendo il suo computer. Babbo Maestroni è in linea. Il piano è far finta di nulla e chiedergli dove passerà la serata, giusto così per far rosicare me, povero disgraziato dimenticato nel mio paesello bergamasco, mentre invece, zac, gli parerò d'innanzi così d'amblè, a quello stronzo che aveva ancora da invitarmi a raggiungerlo.

Pare che l'ottimo massaggiatore di chiappe altrui dall'impercettibile accento della Val Brembana porti la sua ultima fiamma, che se non ricordo male m'aveva detto essere una mezza kazaka dal nome di Ksyusha (!) al Real McCoy. L'ottimo massaggiatore di chiappe altrui dall'impercettibile accento della Val Brembana è sempre stato un tipo abitudinario.

01 dicembre 2010

Il mio compagno di camera, part.1

L'ultimo blog morì senza lasciare troppe spiegazioni. Ed è senza troppe spiegazioni che nove mesi e mezzo dopo che lasciai l'Estonia, in lacrime cocenti come un pupo ritardato, sono di nuovo a Mosca, più o meno dopo due anni e mezzo dalla prima volta.
Mark è già qui da circa una settimana, un volo di un numero spropositato di ore dall'altra parte del mondo che gli ha permesso di vedere un po' degli altri stronzi in giro per l'Europa: qualche giorno a Cracovia da Lukasz, una toccata in Germania da Cristoph e pare pure qualche giorno in Estonia, tanto per abituarsi al clima e prendere una bottiglia di Vana Tallinn. E' bello sapere che i governi del mondo ci permettono di ubriacarci in giro per il mondo solo per il fatto che riusciamo a mettere crocette in riquadri meglio che altri. Il Maestronzo invece non sa ancora nulla: lui è già qui da qualche mese, impiegato chissà dove grazie a chissà quale magagna, conto di fargli una bella sorpresa forse stasera stessa.
Col mio caparbio copricapo da inculatore di capre andine e la mia valigia di cartone contenente lo stretto necessario per sopravvivere all'inverno russo per sette giorni esatti, rimango per un po' nel centro del cortile che porta all'ingresso principale, guardandomi intorno come un novizio Pacciani ad un ben fornito sexy shop di Trucazzano- vorrei perdere bava, ma fa troppo freddo per permettere alla forza di gravità di compiere il suo lavoro. Ah, l'imponente massa del MGU! Ah, questo sovietico giallognolo dei mattoni! Ah, la falce ed il martello sul pennone principale! Ingobbito dal peso della Storia, o più probabilmente dagli ettolitri di neve che mi son penetrati nelle espadrillas, mi sveglio dal torpore e varco l'ingresso.
La burocrazia russa è terribile come un dildo inserito in luoghi non salubri, per cui evito di perdermi troppo in cicalate. La sostanza è che mi devo registrare all'ufficio apposito, retto da una classica signorotta sovietica in abito talare rosso distrutta dal peso dell'alcol, firmare con la mia più che allenata firma cirillica un numero spropositato di fogli grazie ai quali la Lubjanka si prende il diritto di vendere i miei organi a Vladivostok in caso di malefatte, fare qualche giuramento di buona condotta di fronte ad un terrificante dipinto di Lomonosov, raccogliere il propusk, un essenziale biglietto che mi permetterà di varcare il primo cancello del complesso quando si tornerà dalle notti di bagordi, e dirigermi verso quello che sarà per i prossimi sei mesi il covo di Claudio Dalle Bande Nere
Quinto piano, stanza 317, bene, amo i numeri dispari. La porta è già aperta: cazzo, mi ero completamente scordato della questione del mio compagno di "camera".  Qui urge una spiegazione: l'appartamento del MGU è costituito da due camere separate con un bagno ed un cesso in comune, mentre la cucina è in comune con tutto il corridoio: questo quindi fa sì che io abbia due chiavi, una per aprire la porta d'ingresso, una per la mia camera privata, spazio risibile che chiamare camera comporterebbe la necessità di chiamare la mia camera in Estonia "Reggia di Versailles".  L'odore di tarmiti è stupefacente e la desolazione che ispira il mio letto, poggiato in una ergonomicissima posizione, proprio sotto l'unica finestra, mi ispira una così grande commozione che vorrei inginocchiarmi a baciare il pavimento come Alesa Karamazov - ma non posso certo rovinarmi i pantaloni della domenica in un modo così puerile, per cui, riacquistando l'usuale contegno da Lord Fauntleroy, mi spazzolo il cappottino e mi preparo a far conoscenza con il flatmate. Busso.

Chi è.
Ciao! Sono Claudio, vengo dall'Italia, sono il tuo nuovo vicino di casa.
Entra pure.

La prima cosa che noto è che, se possibile, la sua camera puzza ancora più della mia, e questo è particolare perchè si auspicherebbe che un essere umano ogni tanto apra pure le finestre. La seconda cosa sono le pareti tapezzate da strane figure di cantanti giapponesi, tutte rigorosamente in costume e tutte rigorosamente di un età compresa fra i quattordici ed i quindici e mezzo. La terza cosa che noto è che il suo letto è in una posizione ancor più ergonomica della mia: esattamente in mezzo alla camera, oserei dire perpendicolare alle pareti di fondamento, se solo m'intendessi di geometria e di muratura, per cui mi limito a dire che in tal modo egli era impossibilitato a raggiungere la finestra, salvo letteralmente camminare sul letto e vero e proprio. Sotto la finestra aveva posizionato la scrivania e quindi al momento del mio ingresso egli persisteva ancora nel darmi le spalle.
Toh, lo sgarbato, vado io a pensare, proprio bene sei andato a capitare, Claudio, figlio mio adorato, sei mesi con un pederasta misantropo.

Scavalca pure il letto. Voglio farti vedere una cosa.
Uh, aspetta, devo ancora togliermi le scarpe in realtà...
Non fa niente. Vieni, presto.

Immaginando che abbia detto questo solo per farmi sentire a mio agio ("guai a te anima prava se cammini sul mio letto con quelle scarpe", la mia arguta mente euclidea riesce sempre a leggere fra le righe), riesco a togliermi, aiutandomi con la punta dell'altro piede, esibendo una grazia nurieviana - odo l'eco del Lebedinoje Ozero in sottofondo - entrambe le scarpe in un battibaleno, e, pur esibendo un paio di calzini da far impallidire Marrazzo, mi avvicino al misterioso bamboccione.

Guarda! Guarda!

Sullo schermo del suo laptop scorrono le immagini di un porno. Non che io me ne intenda molto di porno, ed anzi non ne ho mai visto uno, ma credo si chiamino così quei filmati dove delle tizie si tolgono i vestiti e mostrano allo spettatore le loro pudenda. Questo è strano perché la zona morta del muso giallo in questione è quasi censurata, pixellata oserei dire. Accarezza con fare lascivo un serpente colorato che le galleggia vicino. Non chiedetemi che tipo di serpente fosse perchè a me la Natura fa schifo.

Ma cosa ci fa con quel serpente?

Silenzio.

Comunque io mi chiamo Furkat. Vengo dall'Uzbekistan. Molto piacere.