01 dicembre 2010

Il mio compagno di camera, part.1

L'ultimo blog morì senza lasciare troppe spiegazioni. Ed è senza troppe spiegazioni che nove mesi e mezzo dopo che lasciai l'Estonia, in lacrime cocenti come un pupo ritardato, sono di nuovo a Mosca, più o meno dopo due anni e mezzo dalla prima volta.
Mark è già qui da circa una settimana, un volo di un numero spropositato di ore dall'altra parte del mondo che gli ha permesso di vedere un po' degli altri stronzi in giro per l'Europa: qualche giorno a Cracovia da Lukasz, una toccata in Germania da Cristoph e pare pure qualche giorno in Estonia, tanto per abituarsi al clima e prendere una bottiglia di Vana Tallinn. E' bello sapere che i governi del mondo ci permettono di ubriacarci in giro per il mondo solo per il fatto che riusciamo a mettere crocette in riquadri meglio che altri. Il Maestronzo invece non sa ancora nulla: lui è già qui da qualche mese, impiegato chissà dove grazie a chissà quale magagna, conto di fargli una bella sorpresa forse stasera stessa.
Col mio caparbio copricapo da inculatore di capre andine e la mia valigia di cartone contenente lo stretto necessario per sopravvivere all'inverno russo per sette giorni esatti, rimango per un po' nel centro del cortile che porta all'ingresso principale, guardandomi intorno come un novizio Pacciani ad un ben fornito sexy shop di Trucazzano- vorrei perdere bava, ma fa troppo freddo per permettere alla forza di gravità di compiere il suo lavoro. Ah, l'imponente massa del MGU! Ah, questo sovietico giallognolo dei mattoni! Ah, la falce ed il martello sul pennone principale! Ingobbito dal peso della Storia, o più probabilmente dagli ettolitri di neve che mi son penetrati nelle espadrillas, mi sveglio dal torpore e varco l'ingresso.
La burocrazia russa è terribile come un dildo inserito in luoghi non salubri, per cui evito di perdermi troppo in cicalate. La sostanza è che mi devo registrare all'ufficio apposito, retto da una classica signorotta sovietica in abito talare rosso distrutta dal peso dell'alcol, firmare con la mia più che allenata firma cirillica un numero spropositato di fogli grazie ai quali la Lubjanka si prende il diritto di vendere i miei organi a Vladivostok in caso di malefatte, fare qualche giuramento di buona condotta di fronte ad un terrificante dipinto di Lomonosov, raccogliere il propusk, un essenziale biglietto che mi permetterà di varcare il primo cancello del complesso quando si tornerà dalle notti di bagordi, e dirigermi verso quello che sarà per i prossimi sei mesi il covo di Claudio Dalle Bande Nere
Quinto piano, stanza 317, bene, amo i numeri dispari. La porta è già aperta: cazzo, mi ero completamente scordato della questione del mio compagno di "camera".  Qui urge una spiegazione: l'appartamento del MGU è costituito da due camere separate con un bagno ed un cesso in comune, mentre la cucina è in comune con tutto il corridoio: questo quindi fa sì che io abbia due chiavi, una per aprire la porta d'ingresso, una per la mia camera privata, spazio risibile che chiamare camera comporterebbe la necessità di chiamare la mia camera in Estonia "Reggia di Versailles".  L'odore di tarmiti è stupefacente e la desolazione che ispira il mio letto, poggiato in una ergonomicissima posizione, proprio sotto l'unica finestra, mi ispira una così grande commozione che vorrei inginocchiarmi a baciare il pavimento come Alesa Karamazov - ma non posso certo rovinarmi i pantaloni della domenica in un modo così puerile, per cui, riacquistando l'usuale contegno da Lord Fauntleroy, mi spazzolo il cappottino e mi preparo a far conoscenza con il flatmate. Busso.

Chi è.
Ciao! Sono Claudio, vengo dall'Italia, sono il tuo nuovo vicino di casa.
Entra pure.

La prima cosa che noto è che, se possibile, la sua camera puzza ancora più della mia, e questo è particolare perchè si auspicherebbe che un essere umano ogni tanto apra pure le finestre. La seconda cosa sono le pareti tapezzate da strane figure di cantanti giapponesi, tutte rigorosamente in costume e tutte rigorosamente di un età compresa fra i quattordici ed i quindici e mezzo. La terza cosa che noto è che il suo letto è in una posizione ancor più ergonomica della mia: esattamente in mezzo alla camera, oserei dire perpendicolare alle pareti di fondamento, se solo m'intendessi di geometria e di muratura, per cui mi limito a dire che in tal modo egli era impossibilitato a raggiungere la finestra, salvo letteralmente camminare sul letto e vero e proprio. Sotto la finestra aveva posizionato la scrivania e quindi al momento del mio ingresso egli persisteva ancora nel darmi le spalle.
Toh, lo sgarbato, vado io a pensare, proprio bene sei andato a capitare, Claudio, figlio mio adorato, sei mesi con un pederasta misantropo.

Scavalca pure il letto. Voglio farti vedere una cosa.
Uh, aspetta, devo ancora togliermi le scarpe in realtà...
Non fa niente. Vieni, presto.

Immaginando che abbia detto questo solo per farmi sentire a mio agio ("guai a te anima prava se cammini sul mio letto con quelle scarpe", la mia arguta mente euclidea riesce sempre a leggere fra le righe), riesco a togliermi, aiutandomi con la punta dell'altro piede, esibendo una grazia nurieviana - odo l'eco del Lebedinoje Ozero in sottofondo - entrambe le scarpe in un battibaleno, e, pur esibendo un paio di calzini da far impallidire Marrazzo, mi avvicino al misterioso bamboccione.

Guarda! Guarda!

Sullo schermo del suo laptop scorrono le immagini di un porno. Non che io me ne intenda molto di porno, ed anzi non ne ho mai visto uno, ma credo si chiamino così quei filmati dove delle tizie si tolgono i vestiti e mostrano allo spettatore le loro pudenda. Questo è strano perché la zona morta del muso giallo in questione è quasi censurata, pixellata oserei dire. Accarezza con fare lascivo un serpente colorato che le galleggia vicino. Non chiedetemi che tipo di serpente fosse perchè a me la Natura fa schifo.

Ma cosa ci fa con quel serpente?

Silenzio.

Comunque io mi chiamo Furkat. Vengo dall'Uzbekistan. Molto piacere.

2 commenti:

  1. Grazie per il tuo ritorno oh nostro messia

    RispondiElimina
  2. mi piaceva di più bianco su nero che nero su bianco :-( mi facevano meno male gli occhi leggendo i tuoi splendidi papiri

    RispondiElimina