sono morto e risorto qui:
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03 giugno 2011
07 aprile 2011
Se il vostro ragazzo vi dice che si è lavato le mani dopo essere stato al bagno, beh, allora il vostro ragazzo è un bugiardo, non vi ama ed al lunedì invece di andare a calcetto, se ne scopa una con la quarta di reggiseno
C'è un modo estremamente efficace per distinguere un vero uomo da un glabro eunuco: basta osservare il suo comportamento in un bagno pubblico - se si dirige verso gli orinatoi, o come diavolo si chiamano quei cessi attaccati alla parete, allora potete tranquillamente permettergli di chiavare la vostra amata cuginetta, perché non le farà alcun male e la tratterà sempre da vera principessa. Diffidate invece da chi si nasconde dietro le porte dei cessi, a meno che non desideriate un compagno di vita che sulle soglie della mezza età sentirà il profondo desiderio di farselo mettere nel culo dal travestito boliviano all'angolo: un uomo che si vergogna di mostrare con fierezza il proprio pene ai suoi simili durante la minzione, infatti, nasconde il più delle volte una grave forma di omosessualità latente o, ancora peggio, soffre di gravi complessi al fallo.
Io ricordo sempre con grande piacere la mia prima volta ad un orinatoio: successe nei bagni dello stadio di San Siro, dovevo avere cinque o sei anni. Avevo bevuto il solito litro gigante di Coca-Cola e la mia povera vescica di cinquenne non ce la faceva proprio più: la partita doveva ancora iniziare, c'era un sacco di gente – forse era un derby - e la fila per i cessi tradizionali era così lunga che me la sarei di certo fatta addosso, se avessi aspettato il mio turno. Allora mio padre mi indicò qualcosa che non avevo mai notato prima: degli strani cessi volanti, popolati da uomini a capo chino, le gambe lievemente divaricate e le braccia protese in qualche punto davanti: li guardavo incuriosito, come fosse un negozio di caramelle proveniente da Marte, quando ecco che uno di loro si tira su la cerniera, si strofina un poco le mani e se ne va, lasciandomi via libera.
Questo cesso volante era angosciosamente alto, di un colore che originariamente doveva essere bianco perla, ma che ora tendeva più al giallo canarino, ed in più mandava un puzzo terrificante: era una cosa disgustosa, ma era una cosa nuova, pertanto estremamente affascinante. Mi tirai giù religiosamente la cerniera come avevo visto fare all'uomo che mi aveva preceduto, srotolai la fanfara, mi alzai un poco sulle punte per prendere meglio la mira, e bum! feci fuoco... ma il rumore che ne saltò fuori fu tremendamente moscio: niente in confronto a quelle vere e proprie cascate del Niagara che sentivo dai miei compagni d'avventura di fianco a me... ero delusissimo. Improvvisamente l'unico desiderio della mia giovane vita era quello di diventare grande, per avere un getto potente come il loro, come quello di questi uomini che continuavano a stare a capo chino, e contemporaneamente borbottavano qualcosa con il vicino, o con l'amico che aspettava poco distante. Parlavano di calcio, e poi di religione, e poi di animali, animali perlopiù di fattoria che mi piacevano molto. Non mancava nessuno all'appello: c'era Dio, c'era Gesù, ed ogni tanto c'era pure la Madonna. Io avrei tanto voluto partecipare alla conversazione, perché a catechismo a quei tempi ero bravissimo e sentivo di poter dare molto a quei nuovi amici, ma una strana timidezza mi avvinghiava contro il mio cesso volante e m'impediva di parlare.
Avevo finito: mi ricordai stranamente di tirarmi sulla cerniera e mi guardai un attimo attorno, fiero ed allo stesso tempo intontito, dalle novità e dal puzzo: notai che tutti i miei compagni evitavano accuratamente di fermarsi al lavandino, pensai che così facessero i grandi e mi adeguai anch'io: le suore dell'asilo dovevano avere torto marcio con tutte le loro cazzo di tradizioni igieniche.
Mio padre mi passò lieve una mano fra i capelli e mi disse di accelerare il passo, perché stava per iniziare la partita. Io camminavo fra la folla infrettolita tronfio come un pavone, una miniatura ridicola di Mosè che attraversa il Mar Rosso: ero finalmente diventato un uomo, niente poteva fermarmi.
A questo pensavo mentre aprivo le porte dei bagni del Karma Bar: l'aria era profumata di viole e l'atmosfera era silenziosa, si udiva solamente qualche goccia che cadeva in lontananza. C'erano quattro orinatoi, ed uno solo era occupato: il primo di destra, un uomo in giacca nera, dai capelli spettinati ed unti, sempre con le consuete gambe lievemente divaricate ed il capo chino, che pareva stesse blaterando con il suo cazzo.
Si poneva un problema: la scelta dell'orinatoio. Quale scegliere fra i tre rimasti liberi? La maggior parte delle persone sceglierebbero il primo di sinistra, e questo non mi sorprende, perché la maggior parte delle persone sono irrimediabilmente stupide: scegliere l'orinatoio più lontano rivela infatti profonda insicurezza di sé ed infrange uno dei capisaldi del codice segreto del Genere Maschile. La risposta giusta è: il secondo da sinistra. La regola generale da seguire è la seguente: che ci sia un cesso di distanza fra un pene e l'altro, ma mai più di due, ovviamente da calcolarsi sull'affollamento presente: se tutti gli orinatoi sono occupati e siete spalla a spalla con qualcuno, ricordatevi la semplice regola di tenere il collo rigido di fronte a voi e di non inclinare mai il capo, né a destra, né a sinistra, e nonostante questa rigidità di postura, ricordate di essere sempre pronti alla conversazione, perché ciò di cui si discute nei bagni sono il più delle volte autentiche perle di saggezza che andrebbero tramandate ai posteri, ed è così che mi accingo a fare anche io, nel mio piccolo.
Insomma, attacco con il rituale: gamba divaricata, ricerca, srotolamento, mira, fuoco. Fischietto. Ah, com'era bello! Ah, che paesaggi che vedevo! Dovrebbero inventare il modo per prolungare la durata della minzione, che so, farla diventare di due o tre ore, tramite qualche marchingegno speciale a neutroni. La gente starebbe molto meglio e sarebbe più felice. Rido fra me e me di quella idea di una pisciata di due ore, ah, Cardinetti, tu sì che la sai lunga! La risata attira l'attenzione del mio collega di bagno. Lo vedo con la coda dell'occhio che si è voltato a sinistra... vuole dirmi qualcosa.
<< Escus me... are you from Karma Bar? >> Inglese terribile. Ubriaco marcio, forse fatto. Occhio vitreo e perso, pare che gli caschi fuori dalle orbite.
<< N-n-n-oooù... >>
<< Good... d-d-d-o you haaave... have some dra-aaaaks? Saaame pi-pi-pi-pi-lls? >>
<< Nahh, I'm really sorry, dude >>
<< Mebbe... you-u-u know where I can finnnn... f-AAAAA-ind dem? >>
<< I've no idea, I'm sorry, I'm not from Moscow >>
<< I see... And where are you froooum? >>
Ormai aveva completamente perso qualsiasi cognizione spazio-temporale. Se ne stava di fronte a me col pipino in bella vista, fissandomi con quegli occhi strizzati e senza vita.
<< I'm from Italy... close to Milan >>
<< MA PORCA PUTTANA, ma proprio un italiano dovevo beccare?! >>
Grassissime risate dell'amico tossico. Par riprendersi d'un colpo, come se si svegliasse da un incantesimo: rimette in gabbia il passero, si avvicina e mi tira una sonora pacca sulle spalle che ahimé non riesco proprio a scansare. Sorrido anch'io: in effetti era proprio una situazione divertente e surreale, uno straccione di quarant'anni di Verona che mi chiede se ho della droga mentre piscio in un cesso di un locale di Mosca... solo a me poteva succedere. Altre pacche sulle spalle, qualche nota introduttiva e autobiografica e ci lasciamo, spiritualmente più ricchi, moralmente più felici, internamente più vuoti.
Amico Marco di Verona, se mai dovessi leggere queste parole, sappi che il ricordo del tuo sguardo perso e del tuo inglese zoppicante me lo porterò fino alla tomba, come se tu fossi una sorta di grande fica vogliosa proveniente dalle più sperdute regioni della Baschiria Orientale.
31 marzo 2011
La Vita Agra
Questa storia della provenienza turca non era la prima volta che saltava fuori. In effetti, l'unione dell'apprezzevole passione per le lampade facciali del Maestroni alla mia disdicevole pigrizia nel farmi la barba, ci rendeva una bizzarro duo più simile a mercanti di stoffe di Ankara, piuttosto che ad allegri studenti un po' scemi della Pianura Padana.
<< Devo smetterla con queste cazzo di lampade. >>
<< Ah, Italians? Che strano, non l'avrei mai detto! >>
Parlava solo la bionda. Subito si presenta: Olesja.
Olesja non era un bel nome: aveva un che di rotondo e di infido. Il software era tipicamente russo: bionda come un cherubino, la pelle bianca di latte, i denti perfetti, lo sguardo arrogante, una di quelle che quando fanno le foto davanti al Colosseo tirano fuori il culo e si mettono di tre quarti con la bocca a cuoricino. L'amica castana era più carina: era chiaro che subiva l'influenza ed il carisma da oligarca di questa Olesja: ci guardava con questi grandi occhi spalancati come un pulcino bagnato, sforzandosi di sorridere quando il discorso le pareva richiedere una risata generale. Dietro a quel muso da brava bimba non si nascondeva certo una mente eccelsa, questo era fin troppo palese.
<< Scusate la domanda, ma... siete gay? >>
<< Solo nei giorni festivi. >> Faccio io. Risatina della castana. Ancora non si sapeva il suo nome.
<< Lo sapete, vero, che al Propaganda stasera c'è la serata gay? >>
<< No, cazzo, che non lo sapevamo! >>
Comunico la triste news agli altri amici. Said e Sultan non la prendono certo bene: Allah ama ancora meno gli omosessuali di quanto non li ami il nostro buon Dio. Che fare quindi? In effetti tutti questi uomini variopinti attorno a noi dovevano suggerire qualcosa... ah, perdiana, se solo avessimo un po' di quel che si dice: intuito femminile!
Mentre discutiamo dei futuri passi, Said si allontana dal gruppo e si avvicina ad Olesja, la scruta un po', se la studia, dall'alto in basso, da destra a sinistra, come se fosse un bel manzo d'esposizione al mercato della carne di Teheran, e con il suo inglese zoppicante attacca:
Mentre discutiamo dei futuri passi, Said si allontana dal gruppo e si avvicina ad Olesja, la scruta un po', se la studia, dall'alto in basso, da destra a sinistra, come se fosse un bel manzo d'esposizione al mercato della carne di Teheran, e con il suo inglese zoppicante attacca:
<< Ma... quanto vuoi? >> Serio e franco come un esattore delle tasse. Questi musulmani mica si fanno fermare da nulla, è gente cresciuta nella polvere, gente con le palle quadrate.
Olesja però pare non condividere la mia positiva visione del mondo musulmano, ed infuriata come un toro castigliano per il terribile misunderstanding, buttando fumi neri dalle narici, prende per mano l'amica castana, ci intima, o meglio, ci comanda, di seguirla, invito circoscritto agli uomini battezzati secondo il rito cristiano lì presenti, ed è così che, senza capirci nulla, ci ritroviamo in mezzo alla strada con il pollice fuori, alla ricerca di un taxi che ci avrebbe portato Dio solo da dove, taxi che ovviamente non tarda a fermarsi: la contrattazione è rapidissima, Olesja tira fuori un portafoglio il cui valore di mercato supera di gran lunga tutti gli stipendi che vedrò da qui alla fine dei miei giorni e con un terribile dito da imperatore romano ci indica di sederci nei sedili posteriori: sprofondiamo come sacchi di patate irlandesi sulle poltroncine impolverate di questa macchina bellissima, un fulgido esempio di nido per acari su quattro ruote motrici.
Staremmo stretti in quattro, figuriamoci se siamo, compresi il guidatore – kazako d'ordinanza dai capelli untuosi come brillantina – in sei. Olesja si mette davanti, e ci mancherebbe altro, chi la contraddice quella? Noi uomini dietro, e la pischella castana sulle mie gambe: questa disgraziata muta ha un terrificante culo a mela della Valtellina, ed io devo far ricorso a tutte le mie migliori arti magiche per non cadere in oscuri pensieri ed in situazioni più o meno disdicevoli: penso a Margherita Hack che mi prepara una frittata con i wurstel in perizoma, penso a Rita Levi Montalcini in giarrettiere nere che mi declama William Butler Yeats, penso a Luciana Littizzetto che mi fa un massaggio cinese. Dopo ogni curva, che il nostro kazako volante prendeva a velocità costantemente troppo sostenute, la bella fanciulla si strofinava sempre un poco per riprendere la posizione originaria, proprio come un serpente od uno spazzolino da denti, e la situazione, nonostante la mia solita enorme buona volontà e purezza di spirito, si andava complicandosi a ritmi esponenziali.
Grazie a Dio, non impiegammo molto tempo a raggiungere la destinazione decisa dalle nostre simpatiche compagne: il cosiddetto Karma Bar. La bionda Olesja sgancia il pattuito con il guidatore, mentre noi, per confermare ancora una volta la nostra nomea di veri gentlemen, non facciamo neppure la scena di tirar fuori il portafoglio, trincerandoci dietro a veri o presunte insormontabili barriere linguistiche. La castana, che nel frattempo mi aveva detto il suo nome – Olga – si leva dalle scatole, con grande sollievo di Fernandello, elargendo il solito mezzo sorriso da allegra bifolca. Mi sgranchisco le gambe e faccio tornare il sangue in posti più consoni.
Dico a Mark: scrivi ai musulmani e digli di raggiungerci qui. Mi dispiaceva un sacco averli lasciati fuori dal Propaganda, senza una spiegazione, e poi dovevo ancora stringere la mano a Said per l'epica scena che ci aveva donato. Nel frattempo, Olesja barbuglia con i buttafuori. Pare ci siano grossi problemi a farci entrare. Dovevano essere le nostre facce da muezzin. Brutta storia quelle barbe. Escono i prezzi: duecento rubli per entrare. Considerando che di solito pare che se ne paghino solo cinquanta, la differenza è notevole, ma a noi, in fondo, che ci importa? Tirando fuori le banconote dovute con la nonchalance dei migliori esteti inglesi, eccoci spalancate le porte di questo misterioso locale.
Karma Bar: ricordo che varcato l'ingresso, c'era una grande stanza bianca e spoglia, fresca d'intonaco, dove ti mettevano il timbro sulla mano, come se fossimo stati un'allegra mandria al pascolo. Ed io pensavo: duecento rubli per un locale che inizia con una specie di aula per conferenze? C'era qualcosa di strano. Poi ci imbucammo da qualche parte a sinistra. Finimmo in una specie di tunnel traballante. Pareva un posto in ristrutturazione. La cosa si faceva sempre più squallida e pericolosa, pertanto bellissima. Le sgarze camminavano sicure dinanzi a noi, io guardavo il Maestroni e non sapevo bene che pensare. In lontananza cominciava ad udirsi della musica negroide: molto bene! Apparirono i primi cuscinoni adibiti a poltrone. Facce poco raccomandabili fumavano narghilè cianciando di cose incomprensibili, le fanciulle erano tutte d'alta classe e gli uomini indossavano camicie slim con il primo bottone aperto a mostrare i loro glabri petti bianchi, cosa inaspettata per i locali da pezzenti che eravam soliti frequentare: l'aria era gonfia di chissà che fumi che ti riducevano all'istante le aspettative di vita di quattro anni buoni.
Karma Bar: finalmente ci siamo. Arredato in gusto orientale, è costituito essenzialmente da due spazi: da una parte ci sta il piano bar, con divanetti dove la Mosca-da-bere butta giù costosi cocktails, dall'altra ci sta il dance-hall, musica prevalentemente hip-hop. C'era una sorta di spazio lievemente sopraelevato che però al momento del nostro ingresso risultava ancora totalmente vuoto. Nella variegata clientela che scuoteva il culo su quelle canzoni terribili risaltava qualche sparuto nero vestito in abiti larghi, e me li ricordo bene perché quelli furono i primi neri che vedevo dopo un sacco di tempo, ed anche perché ballavano proprio come dei neri.
Tutto quel fumo passivo mi aveva fatto venir voglia di rinfrescarmi il gargarozzo. Ordinai il Coca-Ballantine d'ordinanza e mi sedetti con il mio solito tono da Strindberg annoiato, fedelmente seguito dal buon Maestroni. Si vedeva che c'era qualcosa che lo turbava: credo stesse avendo qualche pensiero poco cristiano sulla bionda nazista, che era proprio una donna bellissima, ma di una bellezza che quando arrivi sul traguardo ti accorgi che è ben poco diversa dall'effetto di quattro cubetti di ghiaccio calati nelle mutande. Luca era giù di corda perché la puledra si era sin da subito intrattenuta con un gagliardo cinquantenne dal portamento superbo, con la barba finemente curata ed il baffettino leggiadro, e se la mia precaria vista non mi stava ingannando, si era immediatamente fatta offrire un cocktail, non degnandoci di una parola.
<< Affanculo queste capre maledette, io me ne vado di là a vedere com'è la situazione. >>
Gli feci un cenno con la mano per fargli intendere che preferivo rimanere seduto lì, gesto che intese al volo, d'altronde, non si è stati compagni di banco per niente.
Dopo pochi minuti, ecco che lo sgabello che era del Maestroni viene preso dalla bella Olga, che mi guarda con questi occhi da cerbiatto scemo. Forse mi vuole far intendere che vorrebbe che io le offra qualcosa da bere, ma evidentemente non ha ancora capito che Cardinetti non offre da bere alle donne stupide, e così, per riempire i vuoti dati dall'assenza di un bicchiere nella sua manina smaltata di rosso carminio, attacco a blaterare le prime stronzate che mi vengono in mente. Parlare con queste creature è una delle cose più semplici del mondo, basta cercare di mettere ogni cosa nella luce più divertente possibile, e puoi essere sicuro che al termine della tua frase otterrai in contraccambio una risatina flebile, più o meno sincera.
Ricordo che vomitavo parole come un rubinetto rotto, uno spettacolo pietoso, specie perché non stavo certo comunicando con lei, no, in realtà era come se ci fosse un altro me, che mi guardava da fuori e si compiaceva di quel mare di puttanate che sparavo senza pudore alcuno. Era un teatro delle marionette dove facevo la parte del critico: come avrei parlato di questa situazione, in futuro? Come l'avrei descritta? Avrei detto agli amici rimasti in Italia: vispa come un ovino che bruca l'erba degli Appennini. Mi faceva incazzare quel pensiero, lo sentivo dentro di me, da qualche parte, coperto solo in parte dalle parole, ma che scalciava nella mente, come un mostro da abortire... ma come? Questa Olga era una fanciulla carinissima, uno di quei tipi per cui qualsiasi uomo italiano cederebbe al volo il proprio conto corrente, ma proprio senza alcun pensiero, tuttavia, per me continuava ad avere la consistenza di un ectoplasma: era un pozzo in cui le mie parole tintinnavano come monetine tristi e lentamente si adagiavano sul fondo. La sua placida espressione animalesca non avrebbe subito la benché minima variazione di tono se invece di raccontarle qualche fatto ridicolo della mia adolescenza, le avessi raccontato in lacrime che avevo ancora cinque giorni di vita a causa di un tumore fulminante alle palle, e che il mio ultimo desiderio prima di entrare nel regno dei cieli era che lei si lasciasse fottere sul bancone con una rosa rossa in bocca e delle calze rosa lunghe fino al ginocchio. E io volevo che mi mostrasse un po' di vita, cazzo, che mi raccontasse qualcosa di lei, che mi facesse una faccia da stronza, che mi dicesse che sono un pagliaccio ed un poveretto, che fosse una terrorista islamica, che nascondesse una cintura di dinamite sotto il vestito, che avesse intenzione di far saltare in aria in locale, che avesse un passato da suora di clausura, che facesse riti satanici, che avesse tatuato un verso dell'Apocalisse sull'aureola del capezzolo destro, che divorasse il partner dopo l'amplesso, che studiasse gli usi e i costumi dei Farsi, che fosse una campionessa mondiale del lancio del giavellotto, che passasse le giornate sdraiata sul tappeto a guardare il muro... qualunque cosa, Cristo Santo! Ed invece l'unica cosa che riusciva a dire era: you are mad, a volte nella variante you are crazy, e questo solo perché le spiegavo che avrei preferito un milione di volte visitare la gelida ed inaccessibile Murmansk, piuttosto che la melliflua e puzzolente Venezia.
Ero stanco e annoiato: le risposi che era proprio una ragazza arguta e che sì, ci aveva preso in pieno, ero proprio mad, ma nel vero senso della parola, prendevo psicofarmaci da qualche settimana perché soffrivo di un male incurabile: disturbo bipolare. Ovviamente non avrei potuto bere quel Coca-Ballantine, ma... la realtà era che ero pure un alcolizzato, non ne potevo fare a meno e non sapevo resistere. Il soffice profumo del whisky mi inebria come il profumo dei tuoi capelli.
Olga aveva smesso di ridere: un velo di preoccupazione offuscava i suoi occhi. Si era fatta improvvisamente bella.
Ero stanco e annoiato: le risposi che era proprio una ragazza arguta e che sì, ci aveva preso in pieno, ero proprio mad, ma nel vero senso della parola, prendevo psicofarmaci da qualche settimana perché soffrivo di un male incurabile: disturbo bipolare. Ovviamente non avrei potuto bere quel Coca-Ballantine, ma... la realtà era che ero pure un alcolizzato, non ne potevo fare a meno e non sapevo resistere. Il soffice profumo del whisky mi inebria come il profumo dei tuoi capelli.
Olga aveva smesso di ridere: un velo di preoccupazione offuscava i suoi occhi. Si era fatta improvvisamente bella.
Presi ad azzannarla sul collo, vicino alla carotide. Poi le strizzai forte il braccio destro, come si fa con uno straccio sporco. Volevo vedere di che colore avesse il sangue. Prese a gocciolare acqua torbida.
Il Maestroni era ormai di ritorno dalla ronda nell'altra stanza: gli dissi in italiano di sostituirmi con la nostra Heidi: era tempo di cambiare l'acqua al pipistrello.
E di prendere le mie pastiglie.
27 marzo 2011
The Columbus Effect
Doveva essere ormai già mezzanotte. Le stradine aguzze di Kitaj Gorod brulicavano di persone che inciampavano, imprecavano, limonavano, bevevano, fumavano, e branchi di taxi bianchi più o meno ufficiali e Lada cigolanti poco raccomandabili attendevano con il motore acceso fuori dai principali locali, in attesa di flussi d'uomini presi dall'ansia angosciante di rendere degna quella serata e autoconvincersi così di sentirsi vivi e tornarsene nel letto soli come vermi o con qualche pezzo di carne calda raccattato a qualche angolo della strada: l'aria era satura di smog pestilenziale, gioia di vivere e nera disperazione, ed io respiravo a pieni polmoni, ed a ogni respiro ringiovanivo di quarant'anni.
Tagliamo dentro per un vialotto oscuro, attratti da una masnada di figuri vestiti con colori sgargianti, e per puro caso ci ritroviamo proprio di fronte al Propaganda: di fronte ai soliti scimmioni d'ordinanza che come Caronti moderni decidevano chi fosse degno di portare i flaccidi culi all'interno del locale, si stendeva un lungo serpentone di folla, così lungo che avrebbe fatto desistere dalla voglia di entrare Arthur Fonzarelli: ma cosa è qualche minuto di coda per noi, garibaldini esteti del nuovo secolo? Ci incolonniamo pii e silenziosi, placidi come le pecorelle bianche di Gesù Cristo.
Procediamo lungo la fila ad un andatura da funerale di stato, preso da un raptus di noia accendo di malavoglia una sigaretta e mi sporgo un attimo a guardare davanti, sollevandomi a stento sulle punte:
<< Ma... hai notato che ci sono praticamente solo uomini in fila? E poi, come cazzo sono vestiti? Sembrano usciti da un video dei Village People >> Faccio al Maestroni che mi era di fianco.
<< Se ci sono tanti uomini in fila, significa che ci sono tante fiche dentro: quando i branchi di acciughe si spostano, i pescatori fanno a botte per prendere il posto in prima fila. La Natura applica continuamente gli stessi schemi, l'ho sentito ieri su Discovery Channel, caro Claudio. >> Replica lui, serio come un frate cappuccino.
<< Ma che acciughe vuoi che peschino con questi canottoni e queste pettinature alla Diego Della Palma? >>
<< Ah, ma Claudio, dovresti saperlo ormai che i russi sono pazzi, no? Sarà qualche festa alternativa o non so che cazzo, meglio così, con le nostre scamiciate l'effetto Cristoforo Colombo, garantito. Perché mi guardi così? Non ti ho mai parlato dell'effetto Cristoforo Colombo? Ah no, cazzo, ovvio che no, l'ho formulato giusto l'altra sera, ti interessa? E' una storia un po' lunga e sai che io racconto un po' col culo, la vuoi sentire? >>
<< Ci mancherebbe altro. >>
<< Sai, stavo guardando non so che siti e mi si è aperta una di quelle troiate dove puoi selezionarti una puttana per altezza, peso, taglia di reggiseno, special skills, vicinanza alla metro tal dei tali e cose del genere e insomma, ci perdo un po' di tempo, mi guardo un po' di foto, e mi sale un po' di foia, mi dico: “affanculo,che male c'è?” e vado sulla categoria Ebony... ci si annoia a star sempre in mezzo a queste bionde del cavolo, non trovi? Sai che non sono un grande amante del mercato del sesso, ma dove la trovavo una nera così, rapidamente, giusto per togliermi lo sfizio? Mica la trovavo al bar di sotto. Che ne pensi? Non guardarmi così, dì qualcosa stronzo. >>
<< Ci mancherebbe altro. >>
<< Sai, stavo guardando non so che siti e mi si è aperta una di quelle troiate dove puoi selezionarti una puttana per altezza, peso, taglia di reggiseno, special skills, vicinanza alla metro tal dei tali e cose del genere e insomma, ci perdo un po' di tempo, mi guardo un po' di foto, e mi sale un po' di foia, mi dico: “affanculo,che male c'è?” e vado sulla categoria Ebony... ci si annoia a star sempre in mezzo a queste bionde del cavolo, non trovi? Sai che non sono un grande amante del mercato del sesso, ma dove la trovavo una nera così, rapidamente, giusto per togliermi lo sfizio? Mica la trovavo al bar di sotto. Che ne pensi? Non guardarmi così, dì qualcosa stronzo. >>
<< Quello della puttana è il mestiere più nobile del mondo, più dell'eremita buddista, del pescatore di salmone e del mandriano di pecore, perché non è facile vendere amore in questo mondo pieno d'odio. Se fosse per me, io le canonizzerei tutte all'istante e le metterei a capo di ogni governo e di ogni religione, ed il mondo sarebbe un mondo incredibilmente migliore e più sano e paradossalmente, anche più moralmente corretto. Le puttane sono le sante del nostro tempo, amico mio. Ma va' avanti, ti ascolto, è questo l'effetto Cristoforo Colombo, tu che vai con una nera? >>
<< No, cazzo, non correre. Quella poveraccia in realtà non c'entra quasi nulla, o meglio, c'entra, ma indirettamente... Insomma, niente, la chiamo, ci accordiamo sul prezzo, ed in trenta minuti me la trovo sotto casa... solo che mi era già passata. >>
<< Cosa ti era già passata? >>
<< La voglia di farmi una nera, cristo santo, mi conosci... ma cosa ci potevo fare? Non potevo certo cacciarla via così, senza darle una lira, ho un cuore anch'io in fondo, e poi che ne sai che cristo succede in questo postaccio, meglio non avere casini con certa gente... niente, entra in camera, vuole che la pago in anticipo, tiro fuori non ricordo manco più quanti rubli, li mette nella borsetta e si spoglia, in un secondo è completamente nuda: era proprio una gran bella montagna di carne... una pantera... ah, è banale descrivere una nera come una pantera, vero, grande scrittore? >>
<< Un po'. In quei casi io consiglio sempre di mettere qualche aggettivo a caso, che so, dì “una voluminosa panterona del Borneo”, o qualche altra regione sperduta, in effetti anche il Borneo è piuttosto inflazionato... comunque chi cazzo se ne fotte, vai avanti, non sono mica la Grena >>
<< Buona questa, non sono mica la Grena. Insomma, con tutto quel ben di dio di fronte a me, era tornato a prudermi il bischero, lo ammetto. Pareva proprio bella sugosa e non aspettavo altro che mi rampasse sopra... macché oh. Ci crederesti? Questa non era una di quelle puttane ubbidienti o una di quelle capre ubriache da Tema Bar, questa prima voleva che fossi io a scaldarla un po', mi segui? Mi piaceva questa novità, mi piacciono le donne di personalità: ho ingoiato due mentine che tengo sempre sul tavolino per il vecchio “effetto-Alaska”, ed ho preso di buona lena a scriverle il caro alfabeto dei sordomuti e ad analizzarle un po' i pistoni interni... amico mio, dovevi proprio vederla! Ah, ma che spettacolo! Era tanto nera fuori quanto rosa dentro, pareva uno di quei porcellini dei cartoni animati, perdio, ero così su di giri che non so come abbia fatto a non scoppiare a ridere, così, con il testone in mezzo alle sue gambe! L'ultima volta che ero stato così felice doveva essere la prima volta che miei mi portarono a Gardaland. Era in quel momento, credo, che mi è venuto in mente Cristoforo Colombo... mi sentivo un esploratore, sì, proprio un esploratore: anzi, ero Cristoforo Colombo, ci mancava solo che mi mettessi a parlar spagnolo.. era spagnolo, no? O forse era solo partito dalla Spagna, che cristo ne so... Pensa all'effetto che deve aver avuto lo sbarco degli europei su quelle povere fiche pellerossa... ne devono essere state mortalmente attratte, almeno agli inizi, credo. Siamo sempre attratti da ciò che è lontano da noi, e solo col tempo scopriamo che ciò che tanto ci attraeva inizialmente non è altro una variazione di tono di una stessa nota, tutto qua... e stavo andando anche oltre, sai? Stavo rifondando l'intera storia dello sbarco europeo in America. Pensavo che può anche darsi che la penetrazione - scusa, termine sbagliato - europea sia stata facilitata dal fatto che queste indiane non desideravano altro che farsi montare da quei bastardi d'invasori, tutto qua, altro che guerre, pestilenze, e tutto quell'altro mare di stronzate che siamo costretti a subirci da bimbi, solo perché ci vogliono tenere nascosto il più a lungo possibile il mistero del sesso... che ne pensi, ti piace?
<< Mi piace molto. Senza dubbio morire scopando è una morte assai più gloriosa che morire a causa di un raffreddore, come dicono tutti quei noiosi libri di storia.
<< Esatto, sono pienamente d'accordo. E vedrai, l'effetto Cristoforo Colombo succederà anche qui: le alternativelle che ci stanno aspettando dentro il locale sono le nuove troie pellerossa, e noi, noi indovina un po' chi siamo? >>
<< Noi siamo un branco di coglioni e tu sei sbronzo. Ma quanto cazzo manca per entrare? E comunque, com'è finita con questa pantera? Le hai controllato pure se avesse delle carie sui denti? >>
<< Le ho detto di rivestirsi e di andarsene, senza neppure calarglielo. Come potevo? Avevo un tale fuoco spirituale dentro che temevo che se l'avessi tamponata ne avrei perso la metà. Sai come sono le donne. Ti divorano l'anima, se sono davvero donne. >>
Non ci avevamo fatto caso che davanti a noi stavano due affascinanti creature. Una di loro, la bionda di destra, si voltò di colpo, come fulminata, e dal niente esclamò:
<< Siete turchi, vero? >>
<< Le ho detto di rivestirsi e di andarsene, senza neppure calarglielo. Come potevo? Avevo un tale fuoco spirituale dentro che temevo che se l'avessi tamponata ne avrei perso la metà. Sai come sono le donne. Ti divorano l'anima, se sono davvero donne. >>
Non ci avevamo fatto caso che davanti a noi stavano due affascinanti creature. Una di loro, la bionda di destra, si voltò di colpo, come fulminata, e dal niente esclamò:
<< Siete turchi, vero? >>
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24 febbraio 2011
Ultimo tango a Kitaj Gorod
Vengo presentato a due loschi figuri: questa era la sorpresa annunciata, non puttane d'alta classe, ma due talebani in carne ed ossa. C'è un saudita, di nome Sultan, magro come un giunco, sui vent'anni, slanciato e giovanile, dal volto simpatico e dai capelli setolosi, ed il compagno di camera, Said l'iraniano, di età ignota ma potenzialmente sopra i trenta, vestito come un ingegnere sudato appena uscito dalla palestra, basso, tarchiato, pacioso, dai capelli unti e dagli occhi che si aprivano come lanterne non appena vedeva passare una femmina, occhi bianchi e giganti, come un pesce palla. Un iraniano ed un saudita: stento a crederci. Neppure nel migliore dei miei sogni. Mi vengono in mente un sacco di domande da fare al buon Said, ma decido di aspettare un attimo... ci voleva un minimo di confidenza, prima.
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